L'app di uno studente per "dialogare" con l'autismo
Passive Play è un cubo interattivo con un software che ne memorizza le attività . L'autore, un universitario britannico, lo ha testato sulla figlia
L'autismo è una sindrome dolorosamente misteriosa, e sarebbe folle attendere una soluzione definitiva al problema da un'applicazione software. E tuttavia, è una buona notizia che la tecnologia faccia tesoro delle scoperte nel settore per sintetizzare un prodotto che tenti di aprire una via alla comunicazione con soggetti autistici.
Proprio questo, sembra di poter dire, sta accadendo con Passive Play, nato da un'idea dello studente universitario Tom Kirkman e presentato nell'ambito di un progetto di fine anno presso l'Università di Dundee, nel Regno Unito. Si tratta, in pratica, di un gioco, che ha però lo scopo di aiutare i genitori a entrare nel mondo impenetrabile dei figli affetti da autismo.
Il progetto prevede un cubo giocattolo interattivo e un'app compatibile con il sistema iOS installato su iPhone e iPad. Il bambino dovrebbe interagire con un cubo di legno, creato per stimolare i suoi sensi più vigili tramite i suoni, le luci e l'esperienza tattile. Fin qui, l'oggetto potrebbe somigliare a certi giocattoli già in vendita per i bambini più piccoli, ma Kirkman ha fatto qualcosa di più.
Tutti i lati del cubo prevedono un pulsante con il quale si avvia uno specifico esercizio. Semplici esercizi di apprendimento sulle lettere, i numeri e i suoni. Inoltre, i genitori possono registrare e riprodurre la loro voce nel cubo, aggiungendo un elemento rassicurante e affettivo per il bambino.
Ma la vera novità è che mamma e papà possono sfruttare l'applicazione per monitorare, anche a distanza, l'interazione del bambino con il cubo, con una serie di dati statistici a disposizione che possono permettere di leggere progressi e interessi del figlio anche se non si può tenerlo costantemente sotto osservazione. L'applicativo, infatti, può memorizzare informazioni quantitative e qualitative sulle attività svolte sul cubo, così da potere interpretare le preferenze del bambino, l'intensità con cui si accosta all'oggetto e così via. I genitori possono così avere una indicazione, magari interpretabile con l'aiuto di esperti in materia, sulle migliori strategie per insinuare interesse e reazioni nel figlio.
Come spesso accade, sono le circostanze della vita reale ad aguzzare l'ingegno. Diventato padre di una bambina, Kirkman ha potuto capire quale mutilazione potesse essere per i genitori di soggetti autistici l'assenza di una normale comunicazione e relazione, e ha iniziato a interessarsi al problema.
"Spero di evocare il legame emotivo che un genitore potrebbe avere e non ha mai avuto, e fare sentire meno isolati e più coinvolti nella formazione dei figli." ha dichiarato a Pc World Usa lo studente, spiegando di avere eseguito un po' di test con la figlia e di essersi reso conto che la sua invenzione era di facile intuizione: “(mia figlia) sapeva esattamente cosa fare anche se non l'aveva mai visto e non ci aveva mai giocato prima. "
Lo abbiamo detto fin dall'inizio, non si tratta di una strabiliante invenzione rivoluzionaria. Ma è una buona notizia se dalla tecnologia arrivano prodotti che tentano di attrarre al mondo persone che sembrano esserne lontane, ribaltando il luogo comune (che ha però numerose conferme nella realtà ) secondo cui la tecnica contribuisce soprattutto ad alienarci.
Via lastampa
L'autismo è una sindrome dolorosamente misteriosa, e sarebbe folle attendere una soluzione definitiva al problema da un'applicazione software. E tuttavia, è una buona notizia che la tecnologia faccia tesoro delle scoperte nel settore per sintetizzare un prodotto che tenti di aprire una via alla comunicazione con soggetti autistici.
Proprio questo, sembra di poter dire, sta accadendo con Passive Play, nato da un'idea dello studente universitario Tom Kirkman e presentato nell'ambito di un progetto di fine anno presso l'Università di Dundee, nel Regno Unito. Si tratta, in pratica, di un gioco, che ha però lo scopo di aiutare i genitori a entrare nel mondo impenetrabile dei figli affetti da autismo.
Il progetto prevede un cubo giocattolo interattivo e un'app compatibile con il sistema iOS installato su iPhone e iPad. Il bambino dovrebbe interagire con un cubo di legno, creato per stimolare i suoi sensi più vigili tramite i suoni, le luci e l'esperienza tattile. Fin qui, l'oggetto potrebbe somigliare a certi giocattoli già in vendita per i bambini più piccoli, ma Kirkman ha fatto qualcosa di più.
Tutti i lati del cubo prevedono un pulsante con il quale si avvia uno specifico esercizio. Semplici esercizi di apprendimento sulle lettere, i numeri e i suoni. Inoltre, i genitori possono registrare e riprodurre la loro voce nel cubo, aggiungendo un elemento rassicurante e affettivo per il bambino.
Ma la vera novità è che mamma e papà possono sfruttare l'applicazione per monitorare, anche a distanza, l'interazione del bambino con il cubo, con una serie di dati statistici a disposizione che possono permettere di leggere progressi e interessi del figlio anche se non si può tenerlo costantemente sotto osservazione. L'applicativo, infatti, può memorizzare informazioni quantitative e qualitative sulle attività svolte sul cubo, così da potere interpretare le preferenze del bambino, l'intensità con cui si accosta all'oggetto e così via. I genitori possono così avere una indicazione, magari interpretabile con l'aiuto di esperti in materia, sulle migliori strategie per insinuare interesse e reazioni nel figlio.
Come spesso accade, sono le circostanze della vita reale ad aguzzare l'ingegno. Diventato padre di una bambina, Kirkman ha potuto capire quale mutilazione potesse essere per i genitori di soggetti autistici l'assenza di una normale comunicazione e relazione, e ha iniziato a interessarsi al problema.
"Spero di evocare il legame emotivo che un genitore potrebbe avere e non ha mai avuto, e fare sentire meno isolati e più coinvolti nella formazione dei figli." ha dichiarato a Pc World Usa lo studente, spiegando di avere eseguito un po' di test con la figlia e di essersi reso conto che la sua invenzione era di facile intuizione: “(mia figlia) sapeva esattamente cosa fare anche se non l'aveva mai visto e non ci aveva mai giocato prima. "
Lo abbiamo detto fin dall'inizio, non si tratta di una strabiliante invenzione rivoluzionaria. Ma è una buona notizia se dalla tecnologia arrivano prodotti che tentano di attrarre al mondo persone che sembrano esserne lontane, ribaltando il luogo comune (che ha però numerose conferme nella realtà ) secondo cui la tecnica contribuisce soprattutto ad alienarci.
Via lastampa
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