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L'Fbi spiava Steve Jobs: "Un drogato"

Ma Bush padre lo voleva nel suo staff















Pubblicata l'indagine del Bureau sul guru Apple: "Lsd e disonestà"
new york
Nel 1991, l’Fbi passò al setaccio la vita di Steve Jobs: l’amministrazione dell’allora presidente George Bush lo voleva nel prestigioso "US President’s Export Council". Un incarico che però non ottenne mai, mentre, in realtà, gli agenti federali già da molto tempo avevano iniziato a tener d’occhio il cofondatore della Apple. E non ne avevano una grande opinione. Soprattutto dopo aver appreso che aveva fatto ampio uso di droghe, anche pesanti (Lsd); e anche per il suo totale distacco da una figlia, Lisa nata nel 1978, che aveva avuto con una donna che poi aveva lasciato.

Il dossier, di ben 200 pagine, è diventato pubblico oggi, dopo che l’Fbi l’ha pubblicato sul suo sito web su richiesta del Wall Street Journal, in base al Freedom Information Act. Dal lungo documento viene fuori che il Bureau parlò con numerose persone dell’entourage di Jobs, tra cui amici, vicini e familiari e colleghi e, secondo l’Fbi, «diversi individui hanno messo in dubbio la sua onestà, affermando che si tratta di una persona che può distorcere la verità e la realtà, pur di perseguire i suoi obiettivi». un concetto, quello della «distorsione del campo della realtà», che di certo non è un segreto e che è stato ampiamente sviscerato nella biografia di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson, uscita poco dopo la sua morte. Nel libro si racconta anche delle sue esperienze con la droga, in particolare l’Lsd, nel periodo in cui poco più che adolescente trascorse diversi mesi in India.

Dal dossier viene fuori anche che nel 1985, quando ormai assieme al suo amico Steve Wozniak aveva già da quasi dieci anni avviato la Apple, Jobs fu vittima di un ricatto, con la minaccia di attentato dinamitardo, e da allora l’Fbi iniziò quindi ad interessarsi a lui. Le informazioni dei federali vennero poi approfondite nel 1991, quando Jobs era a capo della "NeXT" la società di computer da lui fondata nel 1985, dopo aver sbattuto la porta alla Apple. Dalle indagini dell’epoca sembra emergere che tutte le persone interpellate, di cui non viene rivelato il nome, ritenessero che Jobs non facesse più uso di droghe. Alcune, in particolare una donna, avevano però dubbi «sulla sua etica e sulla sua morale». Il suo successo alla Apple, disse la donna, «gli ha dato un’enorme quantità di potere» e gli permette «di distorcere la realtà per fare a modo suo». Altre testimonianze descrivono invece Jobs come «ostinato, dalla volontà ferrea, un grande lavoratore, ispirato, e per questo di grande successo». Cinque anni dopo, Jobs sarebbe rientrato alla grande in Apple e l’avrebbe guidata fino a pochi giorni prima della sua morte, il 5 ottobre del 2011, giorno in cui tutti gli Stati Uniti espresso dolore e tristezza, a cominciare dal presidente Barack Obama.

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