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Scacco di Amazon ad Apple e nascita della nuova editoria

La condanna del Dipartimento di Giustizia americana inflitta ad Apple e alle big five sul prezzo degli ebook ha avuto effetti imprevisti sullo sviluppo del business e rimescolato le carte della nuova editoria - Chi se ne avvantaggiato di più è stata ancora una volta Amazon mentre Apple è rimasta spiazzata













Su FIRSTonline ci siamo già ampiamente occupati del caso del Dipartimento di Giustizia contro Apple e le big five sul prezzo degli ebook e abbiamo anche discusso la sentenza che, con due gradi di giudizio, li ha condannati per violazione della legge antitrust. Fortunatamente Apple, dopo che gli editori hanno transato la condanna, ha ritirato il ricorso alla Corte suprema e si è offerta di risarcire i consumatori della class action con la cospicua cifra di 400 milioni di dollari. Decisione sofferta, per via del coinvolgimento di Steve Jobs, ma opportuna.

Quello di cui ci vogliamo occupare ora sono le conseguenze durature della condanna inflitta dal tribunale di New York alla Apple e alle big five. Le conseguenze sono state enormi per lo sviluppo del business e hanno portato ad evoluzioni che, molto probabilmente, neppure il Dipartimento di Giustizia si augurava accadessero o aveva in qualche modo messo in conto.

La sentenza del Tribunale di New York, sulla quale si allineava anche l’Unione Europea, stracciava il pilastro sul quale si incardinava il rapporto tra gli editori, e quindi i fornitori di contenuti, e le imprese tecnologiche che offrivano questi contenuti, in formato digitale, al pubblico. Con l’arrivo della Apple nel campo deli ebook si era affermato un modello commerciale e di business, il modello agenzia, in base al quale era il fornitore del contenuto a definire il prezzo del contenuto e il distributore digitale si limitava ad applicarlo, riservandosi una commissione sul prezzo di vendita che si aggirava intorno al 30%. Le finestre di sconto erano molto limitate e sempre controllate dall’editore. Era il modello di iTunes per la musica, accettato dalle etichette discografiche, ed era anche il modello dell’AppStore dove gli sviluppatori vendevano le applicazioni ai possessori di smartphone e tablet. Inoltre la Apple aveva chiesto e ottenuto dagli editori la clausola cosiddetta della “nazione più favorita”, derivata dal commercio internazionale, che gli assicurava di ottenere sempre il prezzo migliore, così da poter assicurarsi un importante e duraturo vantaggio competitivo.

Era scacco ad Amazon che si trovava nella condizione d competere con un blocco granitico guidato dall’azienda leader nel campo della tecnologia. E infatti Amazon parve rassegnarsi a questo stato di cose e decise di aderire al modello agenzia, sperando che uno sviluppo imprevisto, una sorta di cigno nero, venisse a modificare una situazione che gli era contraria. Ed ecco che trascorsi neanche due anni da questi avvenimenti, arrivava il Dipartimento di Giustizia a rimescolare le carte e a sconvolgere gli equilibri di mercato, rimettendo Amazon nuovamente in gioco.

Ora bisogna dire che il modello agenzia era un modello molto civile di rapporto commerciale, riconosceva la parità delle parti e il loro specifico ruolo, lasciava il controllo del business al fornitore di contenuti, che ne era la sorgente, e poneva sotto tutela l’attività dei nuovi soggetti di Internet che avevano la brutta abitudine di scardinare i business tradizionale per affermare il proprio. Era anche un ottimo modello di transizione che salvaguardava le parti in gioco, sviluppava uno spirito collaborativo e permetteva agli incumbent di riconfigurarsi in modo ordinato per il passaggio al digitale. Ma così non doveva essere. Il governo degli Stati Uniti, che aveva tollerato ben più gravi situazioni di quella creatasi nel mercato librario, aveva deciso di prendere una iniziativa che più disruptive non poteva essere.

Stracciando il modello agenzia il governo metteva tutta l’industria in una situazione nuova. A questo punto la patata bollente tornava nelle mani degli editori. Che cosa si doveva fare venuto meno il modello agenzia? La risposta a questo interrogativo è stata quella di penalizzare il promettente business dell’ebook per difendere l’industria del libro di carta anche a costo di sacrificare profitti e quote di mercato. Vediamo adesso come questa intenzione è stata attuata, attraverso quali scelte e quali sono state le sue durature conseguenze.

La quiete dopo la tempesta

Amazon era così riportato al centro dello scacchiere dalla sentenza antitrust e dalla messa in mora del modello agenzia che lasciava spazio all’unico modello alternativo, quello wholesale dove era il distributore, cioè Amazon, a decidere il prezzo finale del prodotto. Il gigante dell’e-commerce passava così all’azione per affermare la sua visione del mercato: il prezzo degli ebook doveva essere inferiore a 10 dollari. In perfetto stile disruptive aveva iniziato a mettere gli editori nella pentola a pressione. Infatti a fine 2013 tutti i contratti tra Amazon e le big five erano in scadenza e dovevano essere rinnovati, tenendo di conto di questo nuovo stato di cose.

Gli editori, parte di enormi e influenti conglomerati media, avevano però deciso che era tempo di smettere di subire ed era arrivato il momento di reagire e di impegnarsi una vera e propria guerra punica contro l’invasione di Amazon. Da consumati strateghi ricercarono subito e ottennero una coalizione con due potenziali alleati di peso come gli autori di tendenza, anch’essi irritati dai modi Amazon, e l’opinione pubblica che era molto sensibile alle sorti dell’industria culturale nella delicata transizione dai mass media ai personal media dominati dalle imprese della Silicon Valley.

Non era un’alleanza così naturale perché, inizialmente, gli autori di tendenza e anche l’opinione pubblica avevano visto con simpatia e con favore la nascita e lo sviluppo degli ebook che apparivano un modo innovativo e intelligente per ampliare il mercato e portare nuovi soggetti a una difficile attività come la lettura.

Con queste premesse è dunque successo che nella primavera-estate del 2014 si è consumata una delle più aperte, ampie e stridenti dispute pubbliche sul futuro dell’industria culturale nell’epoca di Internet. Questa disputa ha visto contrapposti da un lato gli autori di tendenza, i loro agenti e i maggiori editori e, dall’altro, un’impresa tecnologica enorme attraverso la quale passava tanta parte del business dei primi. Nel dibattito che ne è scaturito sono intervenuti i grandi media, le celebrity, i critici e gli opinionisti di peso che si sono tutti schierati contro Amazon, percepito come un monopolista privo di scrupoli (cfr. articolo di Paul Krugman sul NYTimes) e una minaccia per la cultura (cfr. la campagna di Scott Turow a nome della gilda degli autori). Il comportamento brutale di Amazon, la sua immaturità comunicativa e le pratiche spesso insolenti e prevaricatrici, avevano finito per isolarla in modo pericoloso a tal punto che Bezos e i suoi stretti collaboratori si erano trovati nella insolita posizione di dover consegnare una sorta di resa nelle mani degli editori. Sarebbero stati loro a determinare il prezzo degli ebook e gli sconti sui prodotti digitali. Sembrava una tregua fragile perché stava troppo stretta alle strategie di Amazon, e invece era un’intesa destinata a durare e a riconfigurare l’intero mercato del libro nel paese leader e negli altri mercati. Si era avuto questo sbocco soprattutto per l’intelligenza dei contendenti e per l’intreccio di interessi reciproci.

La nascita del lettore ibrido

Quale era la ratio di questo accordo? Gli editori lasciavano ad Amazon la facoltà di scontare selvaggiamente il libro, ma non l’ebook che doveva essere posto in vendita al prezzo proposto dagli editori. In sostanza sul prezzo degli ebook tornava in auge il modello agenzia, mentre sul quello del libro poteva operare il modello wholesale. E così è stato. Infatti dopo il 2014 era frequente imbattersi in una scheda di Amazon nella quale il prodotto più costoso risultava proprio l’ebook; in ogni caso l’edizione più conveniente era sempre il paperback, cioè il nostro tascabile. In pratica gli editori applicavano un dazio di competitività sugli ebook così da spingere i consumatori a mettere nel carrello un libro. Azione che iniziava ad avvenire regolarmente perché il libro era percepito dai consumatori come un oggetto di valore d’uso e di scambio superiore alla sua mera copia immateriale, tra l’altro oberata da restrizioni anche assurde, come quella che l’acquirente non possedeva il bene acquistato, ma solo la licenza di utilizzarlo e pertanto non poteva prestarlo, rivenderlo o donarlo alla biblioteca del suo quartiere. Se veniva meno la convenienza, l’ebook perdeva quel vantaggio che Amazon aveva ricercato sin dal lancio del Kindle nel 2007.

In breve tempo i lettori, spronati anche dagli influencer come la liberal Arianna Huffington che dopo essere diventata milionaria con il digitale gli si era rivoltata contro, hanno iniziato a riscoprire il fascino del libro e da digitali sono diventati sempre più ibridi. Una volta livellato il prezzo tra ebook e libro, i consumatori sono diventati utilitaristici iniziando a leggere indifferente sul mezzo più congruo alla circostanza data. Se dovevano prendere un volo di Ryanair acquistavano un ebook, se dovevano sdraiarsi su una spiaggia compravano il libro, se facevano jogging lo ascoltavano in cuffia sull’iPhone. Non era più il prezzo a guidare le scelte, ma la situazione in cui doveva avvenire la lettura o l’ascolto.

Nel 2016 il comparto degli ebook pubblicati dagli editori dell’American Association of Publishers sono andati a picco con un calo record del 25%. Chi si è avvantaggiato da questo spostamento di baricentro dagli ebook ai libri? Non certo gli editori che hanno penalizzato un prodotto a margine più alto, non certo gli autori che hanno subito le conseguenze del calo delle vendite di un contenuto a royalty superiori. Si è avvantaggiato Amazon che nel 2016 ha portato la sua quota di mercato nella vendita di libri al 45% con un incremento del 15% sull’anno precedente quanto tutti gli altri competitor (librerie, grande distribuzione, e-commerce) hanno portato a casa dati con il segno meno.

Se lo spostamento della leva dagli ebook ai libri ha favorito Amazon, ha però ucciso il business della Apple che si è trovata a commercializzare un prodotto che aveva perduto competitività senza poter avere l’opzione di Amazon, perché l’iBookstore è un negozio fondato esclusivamente sugli ebook. In sostanza gli stessi editori che avevano trascinato Apple in questo business adesso gli infliggevano un colpo micidiale.

La nascita della nuova editoria

Se gli editori avevano deciso di abbandonare il nuovo per il vecchio, lo stesso non poteva certo dirsi di quegli individui e di quelle organizzazioni che avevano trovato negli ebook un mezzo formidabile per portare al grande pubblico le loro idee e le loro opere. Un fenomeno enorme che chiameremo la nuova editoria. L’ebook aveva abbattuto le barriere a pubblicare e tutti coloro che erano stati esclusi o marginalizzati dal mercato editoriale tradizionale, che reiterava i suoi riti secolari assai poco inclusivi, avevano trovato un veicolo per uscire dall’irrilevanza e accedere al grande mercato dell’industria culturale. Produrre e commercializzare un ebook aveva costi irrisori e quindi autopubblicarsi non era più un esercizio vano, narcisistico e inutilmente costoso come lo era stato al tempo dei mass-media, ma diventava una vera e propria iniziativa imprenditoriale e culturale che poteva portare ingenti risorse ai più meritevoli, tenaci e visionari. Tra loro e il pubblico non si frapponeva alcunché.

Dopo 10 anni dalla sua nascita, coincisa con il lancio del Kindle, la nuova editoria aveva raggiunto delle dimensioni difficilmente immaginabili anche per i più ottimisti. Alla fine del 2016, secondo le stime di Author’s Earnings, era il 15% dell’intero mercato trade degli Stati Uniti e toccava il miliardo e mezzo di dollari di ricavi. Un peso che non compariva nelle statistiche ufficiali perché il business non transitava attraverso gli editori dell’American Association of Publishers, ma attraverso Amazon che non rende disponibile alcun dato sensibile della propria attività.

Ed ecco manifestarsi l’abilità e la reattività di Amazon alle tendenze del mercato. Amazon è riuscita a intercettare la quasi totalità di questo fenomeno costituito da autori indipendenti, editori digitali, agenzie letterarie, aggregatori di autopubblicati e start-up di servizi editoriali. Per questo insieme di soggetti non convenzionali, attivi unicamente sul digitale, Amazon ha creato un vero e proprio ecosistema incentrato su tre pilastri: un negozio specifico per gli ebook, il Kindle Store, un programma semplice ed efficace per pubblicarli, Il KDP (Kindle Direct Publishing), e un insieme di device dedicati e di applicazioni per leggerli che sono stati messi nelle mani dei lettori a prezzi inferiori a 100 dollari.

Grazie a questa operazione visionaria di Amazon, la nuova editoria, all’interno del marketplace più importante del mondo, poteva competere alla pari con gli autori della scuderia degli editori tradizionali. I meccanismi di raccomandazione di Amazon, le classifiche, le azioni promozionali standard non facevano alcuna distinzione da tra grande, media, piccola e nuova editoria. Tutti partivano con pari possibilità di successo; poi, chiaramente, al successo di un titolo contribuivano fattore esterni ai meccanismi di Amazon come le azioni di marketing dell’editore, la popolarità degli scrittori sui social network, la copertura media e vai dicendo.

La nuova editoria sfugge totalmente ad Apple

Mentre Amazon portava a compimento questo adeguamento alle nuove condizioni del business, cioè scontava fortemente il libro per conquistare quote di mercato favorendo al contempo la crescita della nuova editoria nel comparto ebook, Apple sembrava pietrificata nella sua originale concezione elitaria di un negozio costruito sugli autori affermati e i grandi editori. È così successo che quando i prodotti dei suoi blasonati fornitori sono andati a picco, la mancanza di un’alternativa o di un piano B, ha portato giù tutto il business degli ebook. Era

inutile cercare all’interno dell’iBookstore un’area, un’iniziativa o un qualche meccanismo rivolto a valorizzare la nuova editoria. Tutte le sollecitazioni in questo senso rivolte al management dell’iBookstore, anche da start-up come goWare, sono cadute nel vuoto. Le vetrine dell’iBookstore, le classifiche dei titoli più venduti erano affollate di titoli importanti con prezzi improbabili per un ebook vessato da un dazio di competitività. Il sistema di raccomandazione sembrava scritto da un branco di stagisti. I lettori neanche andavano più sull’iBookstore, ma si riversavano su Amazon dove potevano scegliere il formato desiderato e se sceglievano un ebook potevano leggerlo sul proprio iPhone o iPad con l’applicazione Kindle. Quel magnifico pezzo di software che è iBooks rimaneva inutilizzato.

La Apple che nel 2010 aveva l’ecosistema migliore, il negozio più à la page, l’applicazione di lettura e device per leggere più spaziali, alla fine del 2016 si trovava ad avere il 10% del mercato contro il 75% di Amazon, il concorrente che Steve Jobs considerava alla stregua di un supermercato. Una vera e propria occasione buttata per la Apple e un cruccio per coloro che pensano che il futuro del libro sia nel digitale, perché, come vedremo in un prossimo post, non sarà Amazon a fare questo traghettamento. Avrebbe potuto essere Apple, ma così non è stato. 

Via firstonline.info

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