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La Apple ignora Trump. Centri di ricerca in Cina e caccia ai giovani talenti













Quando Donald Trump, nel corso di una telefonata a Tim Cook poco dopo l’elezione alla Casa Bianca, disse che tra i suoi obiettivi c’era quello di vedere Apple aprire stabilimenti negli Stati Uniti anziché rivolgersi a Paesi come Cina e Vietnam, l’amministratore delegato di Cupertino si limitò a prendere atto delle preoccupazioni del presidente in tema di occupazione americana. Tutto qui. Eppure sembrava che quelle parole fossero preludio di una lenta ma progressiva convergenza tra i due nonostante la scarsa empatia esistente tra la Silicon Valley e l’ex Tycoon. Il successivo annuncio da parte di Foxconn, colosso taiwanese produttore di parti per conto della stessa Apple, di investire 7 miliardi di dollari negli Stati Uniti per creare decine di migliaia di posti di lavoro, aveva fatto pensare a una nuova fase post-delocalizzazione anche per Apple. Poi la doccia fredda con l’annuncio da parte di Apple dell’apertura di altri due centri di ricerca e sviluppo in Cina, a Shanghai e a Suzhou, dopo quelli di Pechino e Shenzhen: tutti saranno operativi entro fine anno.

Non solo delocalizzazione della manodopera quindi ma intellettuale. «I talenti sono i più grandi tesori della Cina. I lavoratori nel settore della produzione, gli sviluppatori di applicazioni e i designer possono aiutare la crescita di Apple in Cina», spiega Cook, intervenendo al 18 esimo China Develop Forum a Pechino. Apple si è impegnata a investire 3,5 miliardi di yuan, circa 500 milioni di dollari, nei centri e a utilizzare i suoi team in loco in collaborazione crescente con i partner locali. I centri di ricerca e sviluppo, inoltre, cercheranno laureati provenienti dalle università più importanti della Cina, tra cui Peking University, Tsinghua University e Jiao Tong University. Insomma è la precisa volontà di creare un polo tutto cinese per sviluppare gli eredi di iPhone e Mac. Una scelta che si basa su un preciso calcolo finanziario visto che la Cina è un mercato strategico per Cupertino ma dove l’azienda ha conosciuto una certa erosione dei suoi risultati operativi, a partire dall’iPhone che ha registrato il suo primo calo nelle vendite in assoluto lo scorso anno.

Vendite fiacche
Oggi Apple è il quarto produttore di smartphone del dragone dopo Oppo, Huawei e Vivo, e ha bisogno di recuperare quota così come il suo giro d’affari con una contrazione del 12% su base annua. E la risposta è l’aumento degli investimenti sul posto per ottenere l’imprescindibile sostegno del governo di Pechino e promuovere risorse locali. Una strategia che certo non sarà accettata di buon grado da parte di Trump e che per di più che arriva nel giorno in cui il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha incontrato a Pechino il collega Wang Yi spiegando che i «nostri due Paesi dovrebbero avere una positiva relazione commerciale che sia giusta e che paghi dividendi ad entrambe le parti». Dividendi che non sono quelli che produrrà Apple, secondo Trump che di questo e di altro parlerà nel bilaterale del 6 aprile proprio col collega cinese Xi Jinping.

Via lastampa.it

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