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Operai schiavi e dormitori prigioni:nella fabbrica cinese di iPad e iPhone

L'inviato della Abc alla Foxconn di Chengdu: i lavoratori guadagnano 1,78 dollari l'ora, troppo pochi anche per il governo di Pechino che non li tassa
















Un dollaro e 78 centesimi l’ora di paga, dormitori che sembrano celle, una folla di pendolari che si accalca all’entrata ed una catena di montaggio in 141 passaggi: sono notizie e immagini con cui la tv Abc documenta cosa avviene dentro la fabbrica di Foxconn a Chengdu, in Cina, dove negli ultimi due anni vi sono stati 18 suicidi fra le migliaia di operai che costruiscono i prodotti Apple.

L’inviato di "Nightline" Bill Weir è il primo ad essere ammesso con le telecamere nell’impianto da dove provengono iPad e iPhone destinati al mercato americano e nei circa 20 minuti di filmati trasmessi ieri sera durante il reportage "iFactory: inside Apple" si ricostruiscono tutti i momenti della vita quotidiana di operai che sembrano schiavi. Fuori dei cancelli della fabbrica le telecamere filmano una folla di giovani «nessuno dei quali supera i trenta anni» che si accalcano in maniera disordinata «dopo aver fatto lunghe ore di autobus dai villaggi della provincia».

Il servizio d’ordine fa fatica a gestire l’entrata ma una volta oltre i cancelli regna un ordine ferreo. Weir accompagna i telespettatori dentro le sale dove file di impiegati montano pezzo per pezzo gli iPad. Si vedono con chiarezza le parti smontate che poi prendono forma, passando di mano in mano in un processo meticoloso che, secondo quanto spiega un manager «comprende 141 passaggi». E’ una fabbrica che non si ferma mai. Gli operai sempre seduti a lavorare «per 1,78 dollari l’ora, troppo pochi anche per il governo cinese che non li tassa», spiega l’inviato, fino alla pausa pranzo che vede affluire migliaia di dipendenti in una imponente mensa dove il cibo appare frugale.

Le immagini più crude arrivano nel finale quando Weir fa vedere, prima da fuori e poi da dentro, i dormitori dove i dipendenti si riposano a turno. Da fuori sembrano prigioni, con finestre piccole a volte chiuse da inferiate dalle quali si affacciano volti di giovani impiegate con lo sguardo perso. Da dentro l’impressione è di luoghi spogli, freddi, dove la pulizia è carente e domina la confusione. Quando il reportage finisce la sensazione è di aver potuto intuire il livello di sfruttamento che c’è dietro il boom di vendite dei prodotti più popolari di Apple, anche se Weir precisa che altri giganti dell’hi-tech sfruttano Foxconn ma, a differenza di Apple, non hanno permesso alle tv di entrare nei propri laboratori.


Via lastampa.it

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