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Come perdere l’iPhone senza perdere l’anima: una disavventura digitale

Lo smartphone rubato sotto il naso. E ora, separata dal mondo digitale troppe ore al giorno, mi ritrovo alla deriva in quello che ho sentito chiamare il “mondo reale”













Io e il mio iPhone facevamo di tutto insieme. Guardavamo i video dei gattini su YouTube, spiavamo gli ex-amici su Facebook, leggevamo le notizie e i gossip su Twitter. Al lavoro registravamo interviste, scattavamo foto e video; di sera, sfogliavamo con invidia le ricette mentre riscaldavo qualcosa nel microonde per cena, poi ci consolavamo con una serie tv strappalacrime a letto. Il mio ragazzo si ingelosiva, diceva che passavo più tempo con quello schermetto che con lui (e aveva ragione). E ora è scomparso, nelle mani di chissà chi me l’ha fregato mentre stavo filmando nel centro di Torino. Se non l’avete già capito, sono una “digital addict” e per me perdere l’iPhone è come se mi avessero tagliato la mano destra.

E’ successo giorni fa, quando, nella fretta di uscire, ho rinchiuso l’iPhone nella tasca esterna dello zaino. Di solito quella tasca, anche se dotata di chiusura lampo, è riservata a cose poco importanti, come il lucidalabbra e lo spray per pulire gli obiettivi della videocamera. Ma quel giorno indossavo pantaloni senza tasche e allora, errore fatale, ci ho messo anche l’iPhone. Vado a filmare in Piazza San Carlo, Via Roma, Porta Nuova, poi prendo la metropolitana al Lingotto, sempre concentrata sulle riprese. A Eataly, una breve sosta per bere qualcosa, e naturalmente il mio primo pensiero è di tirare fuori l’iPhone perché sono cinque ore che non controllo Facebook.

Sparito. L’iPhone non c’è più. In un attimo di puro panico, comincio a tirare fuori tutta l’attrezzatura: videocamera, microfoni, obiettivi, cavi: forse mi sbaglio, forse l’ho messo in quest’altra tasca, o quest’altra ancora. Forse l’ho lasciato a casa, anche se un groppo in gola mi dice che no, che ricordo perfettamente di averlo messo nello zaino.

Torno a casa demoralizzata. Per fortuna avevo acceso l’app Trova il mio iPhone quando ho comprato il telefono, e avevo eseguito il backup su iCloud. Vado sul sito di iCloud e aspetto ansiosamente mentre si attiva il localizzatore: invece niente, il cellulare è offline. Il furbone l’ha spento e Trova il mio iPhone funziona soltanto quando è acceso e connesso alla Rete: sono fregata. Intanto faccio il possibile, cioè bloccarlo con un codice e mandare un messaggio nella speranza che qualche buon samaritano lo legga. «Questo iPhone è stato perso o rubato» scrivo, in italiano e inglese. «Per favore, chiamate questo numero se l’avete in mano». C’è anche l’opzione di inizializzare il telefono per cancellare tutti i dati, ma non sono ancora arrivata a quel punto. Lascio il numero di un collega. Io ormai sono un’orfana digitale.

Nei prossimi giorni ci sono progetti da finire, riprese da fare, un trasloco dove, per infierire, non ho nemmeno Internet a casa. Non avere un cellulare si rivela, naturalmente, una grandissima seccatura. Ma come facevamo vent’anni fa quando avevamo soltanto la linea fissa, mi chiedo? Prima di incontrare gli amici dobbiamo accordarci in anticipo su ora e luogo; guai ai cambiamenti all’ultimo minuto via SMS. Niente Google Maps; corro in continuazione il rischio di perdermi in città, io che, cresciuta con il GPS, il senso dell’orientamento me lo sogno. Un giorno perdo venti minuti a rintracciare una pasticceria perché non ho scritto l’indirizzo: non ho l’app del blocco note con me. Io, giornalista non abituata ad andare in giro con carta e penna, imparo lentamente a districarmi in un mondo analogico. Apro le tende nella camera da letto, così mi sveglio con il sole invece della sveglia del cellulare. Stampo indicazioni prima di partire se devo andare in un luogo sconosciuto. Prendo un appuntamento fisso con gli amici e i parenti.

Un paio di giorni dopo il furto, trovo finalmente il tempo di andare dalla polizia per sporgere una denuncia. Mi sento come se stessi segnalando una persona scomparsa. Però, a sentire gli altri in attesa in questura, penso che tutto sommato mi sia andata bene: non mi hanno rubato l’auto, non stanno occupando abusivamente casa mia. È solo un telefono, dico a me stessa, e poi mi correggo subito: sbagliato, il mio iPhone era molto più di un telefono. Era un album di foto, un libro, ricettario, promemoria, blocco note, rubrica, registratore, televisore. Tutto questo e altro ancora.

Quelli nati prima del 1980, compresi i miei genitori e i parenti, sicuramente rideranno di questa disgraziata che non ha di meglio da fare che passare ore davanti a un cellulare. Ma non capiscono quello che rappresenta lo smartphone: non è un telefono, è un computer portatile, tascabile, che, collegato a Internet, mi permette di fare di tutto, di avere tutte le informazioni del mondo a portata di mano, 24 ore su 24. E, quando quell’oggetto scompare, il mondo si rimpicciolisce. A confronto con quello che era prima, almeno per me, diventa molto più banale.

Alla fine, finisce che per dieci giorni sono senza un iPhone. Un po’ perché non trovo il tempo per cercarne un altro in Rete (questa volta un modello 4s usato, visto il budget) e un po’ perché inconsciamente mi voglio punire per questa disattenzione. Forse se soffro abbastanza, penso dentro di me, la prossima volta sarò più prudente e questa cosa non accadrà mai più. La prossima volta, di sicuro, avrò quello che non avevo stavolta: l’assicurazione contro i furti, non compresa nell’Applecare e alla quale non avevo pensato.

Quelli che si aspettano, alla fine di questo articolo, di sentire una rivelazione su quant’era bello il mondo di una volta e come dobbiamo tornare indietro ai vecchi tempi, se lo sognino. Vivere senza cellulare e senza Internet è una tragedia e un inferno, lo odio. Non vedo l’ora che mi impiantino un iPhone in faccia perché questa storia non la voglio vivere mai più. Per favore: dite a quelli di Apple che si sbrighino!

Via lastampa.it

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