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Svolta nella fabbrica degli schiavi dopo la visita del manager Apple

La Foxconn riconosce le violazioni dei diritti dei lavoratori dopo un'inchiesta della Fair Labor Association e un'impressionante catena di suicidi e incidenti sul lavoro. Decisivo l'intervento del successore di Jobs, Tim Cook, che è andato di persona nell'impianto di Chenzou





















E' la seconda Rivoluzione Cinese. Ci sono volute decine di suicidi per protesta e di morti sul lavoro: ma alla fine il Grande Mostro d'Oriente che sforna gli iPhone e i gadget che fanno ricco l'Occidente ha ceduto alla pressione indignata dell'opinione pubblica. La fabbrica della morte ha riconosciuto le incredibili violazioni che in tutti questi anni hanno oppreso la salute e il portafoglio di più di un milione e duecentomila dipendenti ingrassando il portafoglio di Steve Jobs e degli altri capitani dell'hitech: dalla Dell all'Hp. E l'annuncio della Fair Labor Association, il supersindacato mondiale che aveva aperto un'inchiesta, non poteva arrivare in un momento più significativo. Con un atto di coraggio che per la verità era mancato al suo illustre predecessore, Tim Cook, cioè il manager che alla Apple ha raccolto l'insostenibile eredità di San Jobs, proprio in queste ore è andato in visita e si è fatto fotografare nella superfabbrica di Chenzou, la tuta gialla da operaio e il sorriso per tutti.

Una visita dovuta dopo le polemiche dei mesi scorsi rilanciate soprattutto da una megainchiesta del New York Times già in odore di premio Pulitzer. Foxconn Technoloy Group ha riconosciuto le "serie e continue" violazioni delle leggi sul lavoro cinese e ha promesso che diminuirà le ore di lavoro e rispetterà maggiormente i diritti dei lavoratori. Le proteste degli operai erano sfociate nell'agghicciante rivolta inscenata con una decina di suicidi. Adesso l'indagine
dice che sono almeno una cinquantina le violazioni alla legge sul lavoro nella fabbrica che ha permesso alla Apple di sfornare i suoi apparecchi magici con la puntualità e la funzionalità che hanno regalato alla Mela margini di guadagno netto da capogiro: saliti dal 12 per cento del 2005 al 31 per cento dell'ultimo atto. Dice l'analista Alberto Moel all'agenzia Bloomberg - che in questi ultimi mesi si è distinta per l'attenzione alla causa e per prima ha dato notizia della Rivoluzione Cinese - che adesso per forza di cose Apple dovrà rivedere quei margini. O riversare i costi che verranno sui consumatori: "I benefici che noi, consumatori, e la Apple abbiamo ricavato da questi prodotti alle spese della Foxconn e della sua forza lavoro" dice "sono assolutamente ingiusti".

Gli esempi sono da brividi. I suicidi di protesta sono arrivati negli scorsi mesi dopo gli incidenti sul lavoro dovuti alla scarsa sicurezza: un'esplosione in una fabbrica di iPad aveva causato almeno 3 morti e 70 feriti. Ma le notizie in arrivo dalla Cina sono state spesso discordanti e difficili da controllare. Fino all'incedibile ammissione di Mike Daisy, l'uomo che con uno spettacolo a Broadway aveva per primo acceso un faro sulle inumane condizoni dei lavoratori di laggiù e poi aveva però dovuto ammettere di essersi inventanto un po' di particolari per fare, appunto, scena.

Era stata la stessa Apple a chiedere l'intervento della Fair Labor Association, l'associazione non profit che certifica il rispetto delle regole nelle fabbriche di tutto il mondo. E l'inchiesta è arrivata al termine delle interviste con 35mila lavoratori e più di 3mila ore spese sul posto. La compagnia ha promesso adesso di riportare in linea con la legge cinese gli orari di lavoro entro la prossima estate: nel 2013. Ma ha anche promesso di ricompensare il milione e passa di operai per le ore perdute. A spese di chi? Le multinazionali che vengono a operare qui devono farsi più carico dei nostri problemi: questa la ramanzina che il buon Cook si è sentito fare in questi giorni dai politici cinesi durante la visita. Come se gli occhi davanti a quell'orrore non li avessero chiusi anche loro.

Le violazioni alla Foxconn erano così tante che adesso la fabbrica dovrà assumere decine di migliaia di lavoratori in più per rispettare le consegne di Apple, Hewlett & Packard e Dell. Aumentando naturalmente le paghe. Che qui partivano da 1800 yuan: cioè quei 285 dollari al mese che erano molto al di sotto dei 2687 yuan pagati regolarmente nello Shenzen, dove ha sede la fabbrica principale. Insomma la seconda Rivoluzione Cinese sembra iniziata per davvero. E come la prima, la pagheremo - stavolta giustamente - davvero tutti.

Via repubblica.it

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