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Facebook lancia il riconoscimento facciale. E' polemica sulla privacy

Il social network ha attivato la funzione anche in Italia e in altri Paesi europei

Se c'è un aspetto in cui Mark Zuckerberg non sembra eccellere, malgrado le indubbie qualità che lo hanno portato a creare il maggiore social network al mondo, è il tatto, inteso come attenzione a non ferire l'altrui sensibilità. Ogni volta che Facebook lancia una nuova funzione, si può star certi che ne nascerà un codazzo di polemiche, anche se sarebbe bastato poco per evitarle. È quello che sta accadendo anche con la funzione di riconoscimento facciale, un sistema automatico di scansione delle immagini che suggerisce la presenza di una certa persona in una foto e invita gli amici a “taggarla”.

Il sistema è stato attivato alla fine dello scorso anno solo per gli utenti nord americani che, all'epoca, furono avvisati della cosa e fu loro spiegato come disabilitare la funzione, nel caso qualcuno non gradisse vedere sempre il proprio nome in bella vista, magari associato a una posa intima o imbarazzante. Non fu però concesso loro di non aderire a priori all'iniziativa, ma soltanto di dissociarsi a cose fatte. Gli utenti delle altre nazioni, nel frattempo, restavano in una sorta di limbo terminato oggi quando, zitti, zitti, i tecnici di Facebook hanno reso operativo il sistema senza avvisare nessuno. In Rete niente rimane però celato a lungo, ed è stato un esperto della società di sicurezza Sophos, Graham Cluley con un post sul suo blog, a rivelare (http://nakedsecurity.sophos.com/2011/06/07/facebook-privacy-settings-facial-recognition-enabled/ ) quanto stava accadendo.

La voce “Suggerisci agli amici le foto in cui ci sono io” delle impostazioni della privacy di Facebook si è accesa in questi giorni come per incanto, con l'opzione di default preimpostata su “sì”. Centinaia di milioni di persone, sono state coinvolte a loro insaputa, in un massiccio processo di etichettamentodelle loro immagini. “Purtroppo, ancora una volta – spiega Cluley – l'atteggiamento di Facebook sembra quello di condividere le impostazioni personali di default, ma molte persone non apprezzano il fatto che un sito come Facebook possa riconoscere il loro aspetto e usare tale informazione senza il loro consenso”.

La notizia è stata ripresa da molti blogger e su Internet sono apparse molte guide su come disabilitare il riconoscimento automatico: basta recarsi nelle impostazioni della privacy, cliccare su “personalizza”, trovare la voce sopracitata e scegliere “no”. Nulla di particolarmente difficile, in fondo, per cui per evitare tante polemiche sarebbe bastato poco: avvertire gli utenti del lancio della nuova funzione o ancor meglio, chiedere il loro permesso prima di introdurla. Non è la prima volta, tuttavia, che Zuckerberg si comporta in questo modo, cambiando le regole del gioco senza avvisare nessuno.

Un paio di anni fa, fece scalpore il tentativo del network di modificare sottotraccia i termini di utilizzo in maniera da appropriarsi del contenuto pubblicato dagli utenti anche dopo che questi avessero deciso di cancellare la loro iscrizione al sito. Ancor prima, il patron della società dovette affrontare le reazioni degli utenti infuriati per il lancio della funzione “beacon”, che avrebbe consentito a Facebook di seguirne i movimenti anche su altri siti. Il prodotto dovette essere ritirato, e il fondatore pubblicò una lettera di scuse sul sito, salvo ripresentare l'idea di base qualche anno dopo, sotto altra forma. Queste e altre vicende, lungi da spaventare Zuckerberg, devono averlo convinto ancor più ad andare per la propria strada, senza tener conto delle proteste degli utenti; in fondo, l'esperienza insegna che dopo aver fatto fuoco e fiamme per qualche giorno gli iscritti a Facebook accettano mugugnando quasi tutto anche perché, fino a questo momento, non esiste una piattaforma alternativa che possa approfittare di un eventuale esodo da “faccialibro”. Succederà così anche in questo caso, anche se il riconoscimento facciale è un campo molto delicato e controverso, tanto che Google ha deciso (http://edition.cnn.com/2011/TECH/web/05/31/google.schmidt/index.html ) di sua iniziativa, poco tempo fa, di non immettere sul mercato un software che avrebbe consentito una sorta di taggatura automatica delle foto scattate col telefonino.

“Troppo pericoloso per la privacy – aveva spiegato l'ex Ceo Eric Schmidt, sottilineando come la possibilità di dare un nome a tutti i volti pubblicati in Rete potrebbe essere sfruttata anche dai dittatori per reprimere il dissenso e rintracciare gli oppositori”. E Facebook non è solo un sito di photo-sharing: è il maggiore (http://mashable.com/2011/02/14/facebook-photo-infgraphic/ ) sito di condivisione di immagini al mondo, con un database che dovrebbe raggiungere i 100 milioni di immagini entro l'estate. Con che modalità e con quali precauzioni lo staff decide perciò di adoperare questo sterminato archivio, è perciò una questione affatto secondaria.

Fonte Federico Guerrini lastampa.it

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